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sabato 6 ottobre 2012

Fotovoltaico 2.0: una rinascita?

Le proposte che l’Associazione si auspica diventino obiettivi della Strategia Energetica Nazionale, puntano a evitare il collasso del mercato e a far cogliere all’Italia una grossa opportunità

Un picco che tocca i 15,5 GW e che, oltre a coprire più del 6% del fabbisogno energetico italiano, conta oltre 100.000 addetti tra produzione, distribuzione, installazione e indotto. Quella del fotovoltaico italiano è una corsa iniziata più o meno 7 anni fa, assolutamente in linea con il trend di sviluppo registrato a livello internazionale e che nel solo 2011 ha visto investimenti per ben 260 miliardi di dollari. Si tratta di numeri ai quali corrisponde un’atmosfera tutt’altro che florida, a causa di problematiche con le quali il settore deve continuamente fare i conti. L’alternanza tra un conto energia e un altro, la “visione miope” con cui si è guardato all’industria nazionale e le continue modifiche degli assetti normativi hanno seriamente messo a dura prova il settore, non solo per la contrazione del mercato nazionale, ma anche per la mancanza di una visione di lungo termine e quindi di una strategia sulla quale costruire.
Partendo dal presupposto che sarebbe un errore strategico per l’Italia mettere in discussione il sostegno alle rinnovabili, il documento diffuso ieri da GIFI (Proposte GIFI per il FV 2.0) vuole essere uno strumento per ricordare agli organi competenti che quello su cui si sta discutendo non è un settore di soli costi, ma un comparto che potrebbe favorire la ripresa economica del Paese, “attraverso l’incremento del prodotto interno lordo, del gettito fiscale, dell’occupazione” e la contemporanea diminuzione del picco giornaliero della domanda energetica. Il tutto in una cornice di benefici per l’ambiente e la salute umana, perfettamente in linea peraltro con quanto stabilito dai dettami europei.
Per l’Associazione, è giusto guardare oltre il V Conto Energia e adottare soluzioni che permettano al settore di continuare a vivere. Utilizzare i soldi risparmiati grazie allo sviluppo delle FER ed eliminare dalla bolletta elettrica la voce relativa agli oneri generali di sistema potrebbero essere disposizioni utili da introdurre, ma è necessario anche dare la possibilità agli operatori fotovoltaici nazionali, oggi fortemente penalizzati dal costo del denaro, di poter competere “ad armi pari” a livello globale, operazione possibile per GIFI introducendo un fondo speciale per consentire l’accesso al credito a tassi ragionevoli. A ciò si aggiunge la necessità di estendere oltre il 30 giugno 2013 la detrazione fiscale sugli investimenti, ridurre il carico fiscale derivante dai ricavi della produzione di energia, rendere effettivamente operativi i Sistemi efficienti di utenza attraverso il coinvolgimento di tutti gli utenti, rivedere opportunamente lo Scambio sul Posto e, non ultimo, semplificare tutti gli iter autorizzativi.


Presidente Natalizia, come si arriva al fotovoltaico 2.0?
Ci si arriva dopo 5 versioni diverse del conto energia, un sistema di incentivazione nato contemporaneamente anche in altri Paesi e con l’idea di accompagnare il fotovoltaico fino alla grid parity. In questi anni, purtroppo, i vari cambi di programma hanno portato a uno sviluppo non sempre sano e sostenibile del settore e la mancanza di un allineamento europeo delle tariffe ha generato situazioni difficili da gestire, con periodi di vere e proprie esplosioni di mercato e altri in cui ha prevalso la stagnazione della domanda. Adesso arriviamo alla fine del 2012 con una brutta sorpresa: i soldi del V Conto Energia, che avrebbero dovuto condurci almeno alla metà del 2015, basteranno per arrivare a metà o, secondo i più ottimisti, quasi alla fine del 2013. La necessità di trovare strumenti alternativi agli incentivi classici, ricadenti tra l’altro sulle bollette elettriche e quindi sugli utenti in generale, è nata anche dal periodo in cui ci troviamo, con una situazione economica internazionale peggiorata a causa della crisi. Da qui l’esigenza di trovare una soluzione affinché il mercato possa andare avanti. Tutto quello che è stato realizzato ha permesso alle aziende italiane di crescere, svilupparsi e creare occupazione. I 2,5 miliardi di euro all’anno di importazioni di combustibili fossili in meno sono quello che il Ministero dello Sviluppo Economico ha definito la bilancia commerciale positiva in termini energetici. Non disperdere tutto il patrimonio acquisito in questi anni è per l’Italia una grossissima opportunità.
Come si differenzia il “caso del fotovoltaico” italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei?
C’è una sorta di similitudine in alcuni programmi di incentivazione, che hanno guardato con un’attenzione maggiore rispetto al passato ai costi anche per effetto della crisi finanziaria, e in generale a livello europeo i sistemi vanno verso una riduzione graduale della quota di incentivi erogata per il settore, e in alcuni casi sono già in una fase finale. L’aspetto peculiare dell’Italia e l’approccio politico, non sempre attento e giusto. Spesso il settore viene visto come un problema da affrontare e non come un’opportunità di sviluppo. Non si cerca di sfruttare quello che di buono si è creato e quello che di buono si potrebbe creare. Penso ad alcune best practice tutte nostre sul piano dell’accumulo o su quello di sviluppo della smart grid, che, se fossero sostenute a livello politico, potrebbero acquisire un vantaggio competitivo ed essere esportate all’estero.
Se le vostre proposte venissero accolte da chi di dovere, si potrebbe parlare di una rinascita del fotovoltaico?
Non mi piace parlare di rinascita perché almeno oggi ancora non la vedo la morte del settore. Sicuramente c’è stato un rallentamento forte a cui seguirà un ridimensionamento dettato, a mio avviso, da numeri piuttosto elevati del passato. Non possiamo cioè pensare che i 9,4 GW del 2011 siano un riferimento da vedere come termine di paragone per gli anni successivi. Le nostre proposte, se approvate, potrebbero evitare il collasso del mercato e portare all’indipendenza totale dagli incentivi. In ultimo, ci aspettiamo che le aziende del settore abbiano finalmente la possibilità di pianificare gli investimenti, contrariamente a quanto è accaduto in questi ultimi anni.
Fonte (rinnovabili.it)

lunedì 17 settembre 2012

Strategia Energetica Nazionale: passi avanti e passi indietro

Anche se manca la versione ufficiale della Strategia Energetica Nazionale (SEN), le bozze in circolazione (un centinaio di pagine) ne consentono una prima valutazione. Salta subito agli occhi la discrasia fra il richiamo, nella premessa, alla roadmap europea al 2050 e l’orizzonte temporale del documento (2020).


Anche se manca la versione ufficiale della Strategia Energetica Nazionale (SEN), le bozze in circolazione (un centinaio di pagine) ne consentono una prima valutazione.
Salta subito agli occhi la discrasia fra il richiamo, nella premessa, alla roadmap europea al 2050 e l’orizzonte temporale del documento (2020). Per molti impianti energetici l’intervallo fra la decisione di investire e l’entrata in esercizio è di questo ordine di grandezza. Una considerazione analoga vale per il tempo richiesto per approvare e rendere operative  le misure previste dalla SEN. Otto anni sarebbero quindi un orizzonte troppo limitato, anche se non esistesse il problema di garantire uno sviluppo energetico a lungo termine coerente con la roadmap europea al 2050. Ad esempio, il Regno Unito nella sua strategia energetica del 2011 ha assunto come orizzonte temporale il 2030.
Pur con questo limite, il documento esamina tutti i settori energetici rilevanti e per ciascuno definisce con sufficienze chiarezza quali sono risultati attesi. Riflette quindi in modo adeguato la complessità del panorama energetico nazionale e internazionale, caratteristica in larga misura carente nei vecchi piani energetici.
Un passo avanti rispetto al passato si ha anche nell’indicazione delle misure attuative necessarie; ma spesso la loro definizione non è però abbastanza definita o coerente con gli obiettivi assunti.
Per quanto concerne le rinnovabili, va sottolineato che il tetto posto agli incentivi per quelle elettriche, di fatto coincidente con la somma di quelli del V conto energia e del decreto del luglio scorso sulle altre rinnovabili elettriche, non consentirebbe di portare il loro contributo ai consumi finali da poco meno del 27%, previsto dal PANER, al 38%. Analogamente, non si comprende come si possa innalzare al 20% l’apporto delle rinnovabili termiche, quando per il conto energia termico si prevede a regime un tetto delle incentivazioni di soli 900 milioni di euro all’anno.
E’ infine stridente il contrasto fra l’importanza data al contributo energetico delle biomasse e l’assenza totale di misure per la gestione razionale del patrimonio forestale del nostro paese: in caso contrario, gli ambiziosi obiettivi assegnati alle biomasse non potranno realizzarsi per mancanza a costi accettabili di materia prima qualitativamente e quantitativamente adeguata. Quasi non bastasse, si esclude in modo drastico l’utilizzo del biometano, giudicato troppo costoso, ignorando quanto viceversa prescritto dal Decreto legislativo 28/2011.
Ancora più evidente è l’assenza nelle bozze di SEN di un’analisi dei  possibili conflitti o delle potenziali contraddizioni che possono insorgere fra i diversi obiettivi settoriali. Per ragioni di spazio, mi limito a un solo esempio.
Ridurre nel 2020 del 4%  la domanda complessiva di energia rispetto al  2010 e dal 45% al 36%  la copertura con cicli combinati della domanda elettrica (assunta costante nel decennio) diminuirà significativamente il fabbisogno di gas: in altra parte del documento si propone però un notevole incremento delle infrastrutture di importazione,  per aumentare la sicurezza energetica e diventare un hub europeo del gas. Il secondo obiettivo richiederà prezzi del gas allinearti a quelli europei, e la bozza di SEN indica gli strumenti per arrivarci.  In altre parti del documento i costi di investimento nelle infrastrutture essenziali per garantire nel medio periodo sufficiente capacità di import e di stoccaggio vengono però messe a carico del sistema (in pratica della bolletta del gas), a cui andrà a sommarsi l’incentivazione per lo sviluppo delle rinnovabili termiche. Sono misure di segno contrario all’obiettivo di ridurre i prezzi del gas all’interno del paese, ma la SEN non se ne preoccupa, quindi ignora anche che  costi più elevati del gas si tradurrebbero in costi maggiori del kWh, i quali a loro volta potrebbero impedire in toto o in parte la prevista riduzione dell’import di elettricità (dal 13 al 6%). Se ad esempio si restasse alla percentuale odierna, l’apporto nel 2020 alla domanda dei cicli combinati scenderebbe al 30%, creando una situazione economicamente insostenibile per i produttori interessati, anche se si verificassero tutte le non piccole fuoriuscite di altre tipologie di impianti previste nel documento. Se si volesse evitare il disastro, sarebbero necessarie misure ad hoc, a loro volta destinate a gravare sui costi del kWh; oppure basterebbe un contributo delle rinnovabili molto più basso di quello indicato nel documento (e allora si spiegherebbe l’assenza di strumenti adeguati a garantirne loro sviluppo).
L’assenza di queste e di altre, analoghe analisi su possibili conflitti e contraddizioni si traduce in proposte di obiettivi che possono accontentano gli stakeholder dei singoli settori, ma rendono difficile la loro realizzazione.

Fonte (rinnovabili.it)